martedì 24 settembre 2013

Quelle che

Quelle che quando le chiami sembra di averle lì con te, nonostante la distanza.

Quelle che ti dicono "ti prego, sfodera tutto il tuo cinismo e tirami fuori da questa situazione".

Quelle che ogni tanto tirano fuori dal cassetto una vecchia foto scattata al liceo, di qualche vacanza in montagna o di qualche faccia stupida al mare, la scannerizzano e te la mandano.

Quelle che un loro abbraccio ti rimette in sesto dopo una giornata difficile.

Quelle che ti deludono e ti feriscono, ma che da quel momento compilano un quaderno bianco, foglio dopo foglio, giorno dopo giorno, con tutti i motivi per cui ti amano. E poi te lo spediscono.

Quelle che ti chiamano "Pata", "baldolo", "Valti", "brucaliffa". E che quando ti chiamano col tuo vero nome nemmeno ti giri più, perché pensi ce l'abbiano con qualcun altro. O che siano molto arrabbiate con te.

Quelle che ti portano fuori a cena, perché vabè che sei mamma, vabè che hai un uomo, vabè che lavori come un mulo. Ma resti prima di tutto la loro amica cazzona, casinista e amante della vita e del cibo e del buon vino e dei bei posti e soprattutto della loro compagnia.

Quelle che se ne fregano se sia Mc Donald's o Romeo (che ci piace tanto) o una trattoria o un prato col sole o un tramonto in barca o una discoteca tamarra, perché tanto il posto lo facciamo noi perché siamo noi.

Quelle che mi fa male tutto però come faccio a non uscire con voi?. E va a finire che ti incolli un tavolo, le sedie, i piatti, i bicchieri, le posate, la tovaglia con tutti i tovaglioli, e attraversi una delle arterie di Roma a piedi di notte (e una si sfracella per terra con tutta la sedia arancione fluorescente, che rimane lì in mezzo allo stradone, e lei ti chiama da sotto a una macchina e nonostante il tonfo è meravigliosamente composta e pettinata) e ti apparecchi la cena in un parco, vestita di bianco come Barbie novella sposa. Di bianco tu e di bianco le tue amiche (perché solo con loro potevi finire al Rome White Dinner) e di bianco anche tutte le altre centinaia di persone che sono lì con te. Che come te si sono incollate tutto l'amba aradam e si sono apparecchiate e hanno sfoderato ciascuna la propria cena (chi lo sformato di nonna e il vinello della damigiana, chi come noi hamburger e champagne). E hanno riso come dei matti quando ogni tanto arrivava qualcuno sopra le righe. Come quello che sembrava un gelataio e in motorino portava una sdraio (perché a lui piace mangiare comodo). E poi hanno cenato tutti vicini vicini, bellissimi, bianchi, con le candele e le lucine e la voglia di condividere qualcosa che alla fine non ha niente di strano, profuma solo di fresco, aggettivo che a Roma è merce rara. Almeno secondo me.

E allora capisci che puoi pure diventare una vecchia grassa panzona, cellulitica, stanca, moscia e grigia, ma per loro resti sempre tu. La loro amica pazzerella. La loro amica del cuore. Come si dice tra bambine.





























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