mercoledì 27 febbraio 2013

Analisi di un sostantivo utile

zebedei [ze-be-dèi]
s.m. pl. pop. o scherz. 
 Testicoli, palle, usato quasi solo nella loc. con valore scherz. rompere gli z., seccare, importunare, infastidire
• a. 1879

Passiamo all'analisi di una frase tipica. La prima che mi viene in mente.

Soggetto: Telefono Casa
Verbo: rompe
Complemento oggetto: gli zebedei, per l'appunto
Complemento di termine (a chi?): a me
Complemento di tempo (quando?): sempre.

Non sono riuscita a trovare su internet chi fosse questo Zebedeo. Ma è evidente che si trattasse di un neonato di sei mesi scassamaroni. Non riesco a non pensare alla mamma di questo Zebedeo. Nel 1879. Non deve avere avuto una vita facile. Il figlio è diventato un emblema.
Magari fra duecento anni si dirà "non rompere i Vittorii". Con due i, plurale di Vittorio. Lo specificherò nelle mie ultime volontà. Non troppo remote, se vado avanti così.

lunedì 25 febbraio 2013

Dieci comandamenti per Vittorio


Io a Telefono Casa insegnerò le regole fondamentali per stare al mondo da uomo sano e irreprensibile.

Uno. Dovete pagare. Sempre. Il caffè. La cena. Un pranzo. Il cinema. Le frasi "Famo alla romana" e "avete voluto la parità" stanno alla donna come "il calcio è uno sport inutile" sta all'uomo.

Due. Il calzino bianco in un uomo non è accettabile. Mai. Unica eccezione, il campo da tennis. Di Wimbledon, in finale.

Tre. Le magliette di microfibra elasticizzata per dormire hanno smesso di produrle nel 1997, con la fine di Beverly Hills 90210. Se qualche merceria gestita da nonnaincarriola ve le vuole vendere, denunciatela al Nucleo per la Salvaguardia della Specie. Nessuna donna al mondo ha nel suo sogno erotico ricorrente un uomo in maglietta di microfibra elasticizzata.

Quattro. Ogni donna vuole che sia l'uomo a portare i pantaloni. Ovvio, solo formalmente e per scelte ridicole. Nella pratica potete limitarvi a decidere dove si va a cena. Astenetevi dal voler scegliere dove trascorrere le vacanze estive, a meno che non vogliate passare tutti e 21 i giorni di villeggiatura con una nenia in sottofondo - simile al richiamo islamico alla preghiera - su quanto faccia tutto profondamente schifo e quanto sia cozza la vicina di ombrellone "che dove volevo andare io non la facevano nemmeno passare alla dogana" e quanto il colore della sabbia sia inadeguato e "ma tanto che ti credi, la prossima volta decido io". Siate intelligenti.

Cinque. Dovete amare il sushi. Non dovete FARE FINTA di amarlo perché a noi donne piace tanto e l'uomo che ama il sushi parte avvantaggiato. Se non vi piace, ditelo subito. No, i rolls fritti col gambero cotto e la salsa barbecue NON sono considerati sushi. Se chiedete i rolls fritti a Tokyo si materializza lo spirito dell'imperatore Hiro Hito e vi dà un calcio nel sedere.
Democrazia? Con una donna non esiste democrazia, nemmeno a tavola. Siete sotto esame fin dalla prima uscita. Anzi, già dal messaggio con cui la invitate alla prima uscita. Ogni donna ha in sé i geni di Hitler, impacchettati in autoreggenti e tacco 12.

Sei. A proposito di autoreggenti e tacco 12. La frequenza con cui una donna indossa lingerie sexy e calzature mozzafiato nell'intimità è inversamente proporzionale al numero di uscite con un uomo. Semplificando: mano a mano che la frequentazione va avanti, si cominciano a materializzare calzettoni con antisdrucciolo a forma di zampa di gattino e felpe di pile con la zip. Per arginare questa disgrazia o almeno per ritardarla, date il buon esempio: rispettate il punto tre.

Sette. Il biglietto. Un biglietto può salvarvi la vita. Oltre che aprirvi una gamma infinita di opportunità. Fiori? Regali? Allegate il biglietto, aridi che non siete altro. Potete scriverci qualsiasi cosa, anche disegnarci un fallo stilizzato come alle elementari. Purché non leviate a una donna la sua più grande soddisfazione, tornare tredicenne e chiamare l'amica: "...e poi non sai cosa mi ha scritto sul biglietto..." (Nel caso del fallo stilizzato o di un più comune e banalissimo "con amore", con l'amica mentirà spudoratamente inventando poemi nerudiani, il che rientra nella casella 'bugie bianche' in cui noi donne siamo campionesse mondiali).

Otto. Le vostre bugie non sono mai bianche. MAI. Sono nere. Anzi nerissime, scure, maligne. E verranno usate contro di voi per sempre, finché morte non vi porti via (perché tanto vi sotterriamo, lo dice la statistica).

Nove. Se avete quarant'anni e non vi chiamate George, Paul, Robert, Matt, smettete di vestirvi da bimbogigi. Magliette strappate, jeans attillati, stivaletti da ventenni, zuccotti da liceali. Nel tentativo di sembrare "giovani", sarete invece definiti "giovanili", che nella scala del rodato linguaggio femminile viene dopo "brutti" e prima di "vecchi".

Dieci, per finire. "Kiss" alla fine di un messaggio NO. Non si può fare. Soprattutto se conoscete due lingue, l'italiano e il dialetto della vostra cittadella d'origine. "Baci" andrà benissimo. Non vi avventurate in costruzioni interrogative in inglese a meno che non siate più che certi di cosa state facendo. Se non sapete dove infilare il "do", evitate l'inglese come la peste. O sarete oggetto di una lunga presa per gli zebedei con l'amica di turno (la stessa del biglietto), che quando vi incontrerà non potrà fare a meno di sottolineare quanto siete pippe con le lingue.

Caro Telefono Casa, amore della mamma. Ti ho fatto alto, coi capelli chiari e gli occhi verdi. Ti ho dato già una marcia in più, insomma. Per il resto il senso è: quando esci con una donna sii sempre te stesso. Ma per sicurezza indossa l'elmetto.












giovedì 14 febbraio 2013

Keep calm, it's only Valentine's...

Cos'è per me San Valentino.

San Valentino è quell'occasione che permette a gente povera di spirito di imperversare su Facebook con frasi a casaccio che contengano almeno una volta le parole "cuore", "amore", "sentimento", il più delle volte estratte da citazioni.it come si estraggono le palline dalla sfera di vetro del Lotto. Così. A caso. Per dire qualcosa pur di dirlo. Nel tentativo di commuovere per forza. Dipingendo così di inutilità uno schermo che certe volte sarebbe un bene per tutti mantenere bianco.

Perché mi hanno insegnato che si ama in silenzio, si sussurra di prima mattina all'orecchio di chi ti dorme accanto. Si dimostra con gesti sobri fatti di estrema coerenza. Oppure lo si urla a squarciagola, lo si colora di imprese eclatanti, lo si anima con eventi irripetibili. Niente vie di mezzo.

Le vie di mezzo sono la morte della fantasia e la bara dell'amore profondo.

Io non ce l'ho con San Valentino. Di per sé rimane un'occasione per rinnovare affetto verso chi si ama. Quelli che la snobbano sono gli stessi che non guardano il cinepanettone perché è "coatto" e non mangiano da Mc Donald's perché loro solo biologico e chilometro zero. Sono i radical chic, che rifiutano per principio l'idea che dietro a un giorno come un altro vi sia un mercato che si muove frenetico, un consumismo esagerato, l'ipocrisia che l'amore vada festeggiato in un giorno specifico dell'anno anche quando ci si è presi a schiaffi fino alla mezzanotte del 13.

Ma poi se quegli stessi radical chic - che schifano la scatola di Baci Perugina e disquisiscono di quanto siano banali tre dozzine di rose baccara rosse - tornano a casa e trovano la propria donna mezza nuda in lingerie Victoria's Secret, la tavola apparecchiata e quattro candele, lo raccontano in ufficio ai colleghi tutti i giorni fino a Pasqua.

L'ipocrisia del festeggiarlo per forza "perché sennò che coppia siamo", è tanto oscena quanto quella di rinnegarlo per forza "perché è tutto così nazionalpopolare".

Ecco, magari un po' di originalità non fa male. Vittorio imparerà presto che rientrare a casa la sera dalla propria donna con la scatola di Baci quella a forma di cuore (che gira dagli anni 80 e temo che vendano ancora quella impolverata di allora, coi cioccolatini che ormai parlano), NO, non si fa. A meno che non sia accompagnata da un brillocco o da un tacco 12 di Louboutin. O da due biglietti per Parigi solo andata.

Comunque il bello è che domani è tutto finito, e come ogni anno arriva San Faustino a riequilibrare le cose.






















mercoledì 13 febbraio 2013

Auguri!

Ciao, tu.

Oggi compi sei mesi, lo sai? Sei grande. Hai il doppio dell'età rispetto a quando ho deciso di dare il via a questo blog.

Nel frattempo sono successe un sacco di cose. La prima è che ti amo il doppio di quando sei nato.

Che altro dire? Con te gli schemi saltano, il tempo vola, il controllo è precluso, le priorità si invertono. E mi ci è voluto un po' per accettare una mole tanto grande di cambiamenti.

Non ti vedo da domenica perché entrambi siamo sotto scacco dell'influenza. E mi manchi! Mi manchi un casino. Non vedo l'ora di riabbracciarti, cullarti fino al sonno più profondo, nutrirti, farti ridere. Esserci.

Auguri, amore mio!

mercoledì 6 febbraio 2013

Un sospiro di sollievo

I miei lettori assidui (ciao mamma, ciao papà), ricorderanno il post in cui parlo del centro vaccinazioni e di quel luogo temibile che è la sua sala d'attesa.

Intanto un piccolo inciso, a fruizione delle neomamme che abitano nel XVI municipio di Roma: le infermiere del centro di via Ozanam sono me-ra-vi-glio-se. Gentili. Brave. Simpatiche. Dolci. Non ti fanno sentire una mamma pirla se vedono l'occhio vitreo e il colorito sulla tua faccia volgere al verde sottobosco quando si avvicina il momento della puntura per tuo figlio.

Un altro piccolo inciso, a fruizione del mio ego sconfinato: Telefono Casa è un duro. Cioè, un mezzo duro. Diciamo che comincia duro e finisce come tutti gli uomini, un pappamolle. Quando lo porto a fare il vaccino fa sempre la stessa cosa: dopo l'attesa entra nella stanza del dottore e dispensa sorrisi, sorrisetti e gridolini di giubilo alle signore che lo stanno per bucherellare. Lo mettono sul lettino e gli tirano giù i pantaloni. Lì ride ancora di più, manco fosse un pornoattore. L'infermiera bionda mi chiede di reggergli entrambe le braccia e quando lo faccio mi guarda come dire "guarda madre che ho capito, mica so' stupido io". Sgrana l'occhione blu come una cernia di profondità e si lascia bucare silenzioso, inarca appena la bocca, si irrigidisce, ma non emette nemmeno l'ombra di un vagito.
E allora vai con i complimenti. Masignoramiamaquantoèbravo/masignoramiacheomettoforte. è un fatto: lui ci sguazza, nei complimenti. Si gongola, proprio. Regala pure un ultimo sorriso alle "sue" donne, che gli mettono il cerottino e gli tirano su i pantaloni.
Torni in sala d'attesa con la faccia di chi vince il Grammy, vuoi l'applauso. Tronfia. Tuo figlio è tutto d'un pezzo, ti dici. Ma è una favola che ogni santa volta dura il tempo di tornare a casa, quando cede al peso della tensione e ti si sbrodola addosso in un mare di lacrime e disperazione e pessimo umore.
Ormai lo so, dopo quattro punture*. Conosco il mio pollo.

Comunque, dicevo. Chi segue i miei post sa che la sala d'attesa del centro vaccinazioni è un luogo che mi genera ansia, più del fatto di vaccinarlo in sé. Perché lo metto a paragone degli altri bimbi e capita di uscirne con le ossa rotte. Quel famoso volante di plastica mi ha ossessionata. "Perché non lo gira, come faceva la bimbagigi figlia della tizia che sembrava tornata dalla caccia alla volpe? Perché lo riempie di mazzate? Figlio mio, perché?"
Ho anche barato, lo ammetto: nei giorni successivi sono andata a caccia di un volante di plastica nei negozi di giocattoli, così al prossimo buco nel sedere lui sarebbe arrivato allenato. Niente, non l'ho trovato.
Così quando siamo entrati nella sala d'attesa l'altro giorno mi sono guardata intorno sperando che non ci fosse più. Che l'avessero distrutto, incendiato, sbatacchiato, reso inerme. Invece era lì che ci aspettava, rosso e verde, spento, ma pronto a umiliarci di nuovo.

Giusto un veloce passaggio radente e Telefono Casa ha allungato il braccio per una nuova leggera mazzata. A distanza di un mese, niente di nuovo.

Caso ha voluto che nella sala ci fosse anche Diego Gabriel, bimbo con splendidi occhi azzurri e camminata parecchio incerta. Undici mesi, il doppio esatto di Telefono Casa. Quando si è avvicinato al volante maledetto mi si è gelato il sangue nelle vene. Ha guardato l'oggetto, l'ha studiato. Si è girato verso la mamma, come se cercasse consenso. E poi... Ha riempito quel volante di mazzate. Ma tante, tante, tantissime mazzate. Con la forza di mio figlio elevata alla seconda.

La madre di Diego Gabriel si sarà chiesta come mai, ancora prima che quell'altro bimbo ciccione facesse l'iniezione, la sua mamma tirava un enorme e liberatorio sospiro di sollievo.


*Vittorio ha fatto quattro punture perché sono stata male informata dal pediatra, quell'odioso. Non mi aveva detto di fare subito e contestualmente l'esavalente e lo pneumococco. Così quest'ultimo ho dovuto posticiparlo di un mese. Due punture distinte. Al richiamo altre due punture, distanziate di 30 giorni come la prima volta. Prima di vaccinare i vostri figli informatevi a dovere, che con queste cose non si scherza.

martedì 5 febbraio 2013

Vecchi cliché

Lui: "amore, guarda che il cliché del marito che ci prova con la tata giovane e attraente del figlio è roba vecchia".

Io: "Che vuoi dire?"

Lui: "Lo sai, cosa voglio dire."

Io: "Certo che lo so. Ma voglio vedere se hai il coraggio di dirlo..."

Lui: "Lo dico. La nuova tata di Telefono Casa è brutta".

Io: "Diciamo che non è una modella. Ok. Ma in compenso è brava. È dolce. Trasmette sicurezza. E Telefono Casa sembra molto contento di lei. Non credo si sia accorto che è brutta, a 6 mesi non dovrebbe rientrare nelle sue priorità."

Lui: "Sì ma è brutta. E parla male l'Italiano."

Io: "Esagerato, è solo... imprecisa. Dice 'Sciau bèlu. Sei ragassu motto bèlu. Tu cresce altu e bèlu'."

Lui: "Ecco, nostro figlio imparerà l'italiano a 8 anni"

Io: "Beh meglio così, visto che il nonno per addormentarlo gli canta le osterie e Fanfulla da Lodi. Almeno non le riproduce all'asilo e non si fa riconoscere subito".

Due giorni dopo.

Lo zio: "Cognata, guarda che il cliché del marito che ci prova con la tata giovane e attraente del figlio è roba datata".

Io: "Ma allora è roba genetica. Pure tu..."

Lo zio: "Io lo dico per mio fratello. Vuoi mettere una bella gnocca che ti gira per casa... Con... Con..."

Legge di Murphy per neomamme in cerca di una tata: il cliché del marito che ci prova con la tata giovane e attraente del figlio non è mai stato tanto credibile. Brutte. Sceglietele brutte. Una parola è poca e due so' troppe.

venerdì 1 febbraio 2013

Flashback

Dal mio diario. Quello vero, con le pagine di carta. 31 dicembre 2011.

È l'ultimo giorno di questo 2011 e tutto sommato di un pezzo della mia vita. 

Ti scrivo mentre volo sopra un bel mare rosso del tramonto insieme a "tuo padre", che se ne sta in silenzio con gli occhi chiusi per paura di cadere. 
Siamo uguali, in fondo, io e lui: anch'io ho paura di cadere. Non da quest'aereo, che ci porterà lontano, ma di cadere e basta.

So di te da due settimane esatte e mi sembra un'eternità. Non ero preparata ad accogliere dentro di me la vita, eppure mi sembra il dono più prezioso che un essere umano possa ricevere dall'alto.

Non so niente di te. 

Non so se sarai forte o fragile, riflessivo o di pancia. Non so se indosserai la gonna o i pantaloni.
Ma già ti amo profondamente, come se fosse l'unico sentimento possibile. Come se fosse scritto da sempre che tu ed io ci apparterremo fino alla morte.

Non si nasce madri, questo è certo. Lo si diventa mano a mano che i giorni scorrono e che la presenza di un figlio guadagna il suo spazio dentro una donna.

Capisci che niente sarà più uguale quando in una sala d'ospedale, stesa su un lettino al buio, vedi su uno schermo nero come la pece una vita che pulsa. Una nuova minuscola possibilità. Una forma indefinita muoversi dentro di te. Un cuore tanto piccolo ma già così coraggioso e forte.
Io lo so già, che hai un cuore grande e forte. E che lotterai insieme a me per vedere la luce, fra sette mesi.

Qualche indovino dice che verrai al mondo il 5 agosto del 2012, lo stesso giorno in cui 71 anni fa mio zio Bruno nacque più sfortunato di altri, ma non per questo meno amato. Io lo prendo come un segno del destino.

Tuo padre già ti bisbiglia piccole frasi, accostando il viso sorridente alla mia pancia, che ancora non rivela molto di te.
Ancora non puoi sentirlo, ma sappi che ha per te solo parole d'amore.