Poi arriva il giorno in cui devi tornare al lavoro. Sei mesi che non ti spieghi come abbiano fatto a volare via così. Veloci, spossanti, densi. Una scala di quelle ripide ripide, strette, coi gradoni alti che fai fatica a salirli, ma che quando arrivi in cima hai il fiatone ma sei soddisfatto. Perché la cima è svegliarti il 7 gennaio che tuo figlio ha quasi cinque mesi. E' cicciottello e felice, quando gli fai il solletico non sorride più, ora ride. Tanto. Di gusto. Ti prende le dita con quelle sue mani lunghe ma ancora paffute e le allontana da sé come un adulto, ed è come se ti dicesse "eddai mamma non farmi ridere così".
Tu lo vesti, lo porti a fare il richiamo del vaccino (perché le cose ti capitano sempre così, tutte insieme). La prima volta pioveva forte, oggi invece il sole. Un sole tiepido e accogliente. Che ti fa venire voglia di portare quel fagotto un po' in giro, all'aria, magari al parco. Ma non puoi. Hai avuto cinque mesi per farlo. E invece oggi che ti va, non puoi. Perché torni a lavorare. E non sai da dove cominciare.
Ci hai messo tanto ad abituarti all'idea di lasciarlo "solo", dopo quasi 160 giorni di un tu-e-lui fitto fitto, senza intromissioni, senza sbolognarlo a nessuno, senza aiuti, solo tu-e-lui. Ci hai messo tanto a dire a te stessa "vabè, ma è giusto così. io mi riprendo la mia vita e lui cresce lo stesso, anzi un distacco in questa fase è cosa buona e giusta per entrambi".
Ma una notte ti è venuto un attacco d'ansia, il primo della tua vita. Con il sudore freddo, il cuore in gola, il respiro corto. E non ti davi pace, perché non è da te. Perché tu sei una tosta, una che queste scene non le fa, perché sei una evoluta, perché vuoi che lui cresca forte e indipendente, non vuoi il cocco di mamma che ti si nasconde sotto la gonnella, il bamboccione non lo vuoi, e certe cattive abitudini - tu lo sai bene - si prendono da subito. E quindi si lavora fino all'ultimo, con un pancione enorme, e si torna al lavoro il prima possibile. Perché è giusto così.
Eppure la pancia quella notte se n'è andata per conto suo, il cervello non contava più niente. E allora solo sudore freddo, fiato corto e cuore in esplosione. E il timore che il 7 gennaio mattina sarebbe andata nello stesso modo.
E invece no. Dopo il vaccino, e lui che ti si addormenta addosso stremato ma senza aver versato una lacrima perché è un duro, lui, lo riporti a casa. Si sveglia, lo allatti. Ti godi quel contatto intimo, l'ultimo da "mamma esclusiva", gli dai baci sulla fronte.
Lui è insolitamente eccitato. Sgambetta, vocalizza, fa rumori nuovi con la bocca. Come dire: "Mamma, guarda che io sono cresciuto. tu non ti accorgi di quanto io sia cresciuto".
Tu sei insolitamente rilassata. Ti prepari, tacco 12, un jeans che ti entra a mala pena. Un boccone leggero al volo perché oggi si cambia tutto, compresa la dieta. Qualche indicazione alla nuova tata, quella che da pochi, pochissimi giorni maneggia tuo figlio con calma e sicurezza. Sarà per questo che le indicazioni sono distese e veloci: "Marianna, sai tutto. Se vedi che ha ancora fame dagli altro latte, sai come fare. Dopo il pisolino misuragli la febbre, col vaccino potrebbe salirgli qualche linea. Per qualunque cosa chiamami".
Il suo sorriso rassicurante aumenta la tua convinzione che non avrai di che preoccuparti.
Un ultimo saluto a Vittorio. "Fritz, amore mio, vado via. Ma torno quasi subito, nemmeno te ne accorgerai. Un riposino, una pappa, un po' di giochi e sono di nuovo tra i piedi".
Vittorio sfodera un enorme, sdentato sorriso. "Ciao mamma, corri che fai tardi".
La giornata di lavoro sta per finire, tu non vedi l'ora di riabbracciarlo e quella nottata di cuore in gola ti sembra lontana una vita.
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