mercoledì 13 maggio 2015

Au pair, la rivoluzione (parte II)

...E così la prima notte è trascorsa. Siamo tutti ancora vivi. E a dirla tutta stiamo anche piuttosto bene.

L'arrivo di Isabelle nelle nostre vite promette di essere un vento leggero e fresco, capace di portare con sé qualcosa di bello.

Mia madre è andata a prenderla all'aeroporto e si è appesa al collo un cartello, come nei film. I S A B E L L E.

Pare che lei abbia sgranato il suo primo italianissimo sorriso. È alta, altissima, il corpo da ginnasta e il viso da ragazzina. Mi piace.

Durante il tragitto verso casa hanno parlato di tutto, non so bene in che lingua visto che mia madre non parla inglese né tedesco. Ma all'arrivo sapeva tutto di lei. Mi ha chiamata mentre ero al lavoro: "Manu tutto ok, siamo arrivate a casa. Lei molto carina, fine, timida. Ha due fratelli, uno è in polizia. Ha il fidanzato che è un po' triste per la sua partenza ma si è fatto trovare all'aeroporto alle 4 di mattina per salutarla. Ah, Vittorio l'ha presa benissimo".

Ho scoperto più tardi che "benissimo" non è la parola giusta. Quando sono tornata a casa mi ha detto "mamma ora tu vai di là, che io gioco con Isa a fussballon (calcio in tedesco, ndr) con il luftballon (palloncino in tedesco, ndr)". 

Siamo partiti per il mare. Alla seconda curva entrambi dormivano con la faccia spiaccicata contro il finestrino. Di grande compagnia.

All'arrivo l'ha presa per mano e l'ha presentata a tutti gli abitanti del paese con orgoglio da maschio alfa, "guadda, questa è Isabèl". E ora stanno così.





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