Quelle che ti dicono "ti prego, sfodera tutto il tuo cinismo e tirami fuori da questa situazione".
Quelle che ogni tanto tirano fuori dal cassetto una vecchia foto scattata al liceo, di qualche vacanza in montagna o di qualche faccia stupida al mare, la scannerizzano e te la mandano.
Quelle che un loro abbraccio ti rimette in sesto dopo una giornata difficile.
Quelle che ti deludono e ti feriscono, ma che da quel momento compilano un quaderno bianco, foglio dopo foglio, giorno dopo giorno, con tutti i motivi per cui ti amano. E poi te lo spediscono.
Quelle che ti chiamano "Pata", "baldolo", "Valti", "brucaliffa". E che quando ti chiamano col tuo vero nome nemmeno ti giri più, perché pensi ce l'abbiano con qualcun altro. O che siano molto arrabbiate con te.
Quelle che ti portano fuori a cena, perché vabè che sei mamma, vabè che hai un uomo, vabè che lavori come un mulo. Ma resti prima di tutto la loro amica cazzona, casinista e amante della vita e del cibo e del buon vino e dei bei posti e soprattutto della loro compagnia.
Quelle che se ne fregano se sia Mc Donald's o Romeo (che ci piace tanto) o una trattoria o un prato col sole o un tramonto in barca o una discoteca tamarra, perché tanto il posto lo facciamo noi perché siamo noi.
Quelle che mi fa male tutto però come faccio a non uscire con voi?. E va a finire che ti incolli un tavolo, le sedie, i piatti, i bicchieri, le posate, la tovaglia con tutti i tovaglioli, e attraversi una delle arterie di Roma a piedi di notte (e una si sfracella per terra con tutta la sedia arancione fluorescente, che rimane lì in mezzo allo stradone, e lei ti chiama da sotto a una macchina e nonostante il tonfo è meravigliosamente composta e pettinata) e ti apparecchi la cena in un parco, vestita di bianco come Barbie novella sposa. Di bianco tu e di bianco le tue amiche (perché solo con loro potevi finire al Rome White Dinner) e di bianco anche tutte le altre centinaia di persone che sono lì con te. Che come te si sono incollate tutto l'amba aradam e si sono apparecchiate e hanno sfoderato ciascuna la propria cena (chi lo sformato di nonna e il vinello della damigiana, chi come noi hamburger e champagne). E hanno riso come dei matti quando ogni tanto arrivava qualcuno sopra le righe. Come quello che sembrava un gelataio e in motorino portava una sdraio (perché a lui piace mangiare comodo). E poi hanno cenato tutti vicini vicini, bellissimi, bianchi, con le candele e le lucine e la voglia di condividere qualcosa che alla fine non ha niente di strano, profuma solo di fresco, aggettivo che a Roma è merce rara. Almeno secondo me.
E allora capisci che puoi pure diventare una vecchia grassa panzona, cellulitica, stanca, moscia e grigia, ma per loro resti sempre tu. La loro amica pazzerella. La loro amica del cuore. Come si dice tra bambine.
e chi ti chiama PuuuuuZZ?!gran bel post, grande!
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